Paper Bastards

by Emmanuele Jonathan Pilia

Step 1 

La promessa del futuro 

Pare che le memorie del futuro che iniziano ad affastellarsi lungo l’arco dell’intera modernità abbiano superato una sorta di soglia critica, un punto di non ritorno: oramai è chiaro che siamo nostalgici di una promessa mancata. Eppure, in realtà, il futuro che ci è stato mostrato è arrivato puntuale: viaggiamo su mezzi che superano ogni umana possibilità, la lunghezza della nostra vita si è più che raddoppiata, l’umanità ha una sua ambasciata stabilmente in orbita nello spazio, ed altre ancora stanno per essere lanciate. In un certo senso, il genere umano ha superato il proprio immaginario. Ed ora si appresta a superare anche la propria stessa specie. L’ingegneria genetica ci rende più forti, più longevi. Le protesi ci permettono non solo di sopperire ad una mancanza, ma di superare le nostre prestazioni. Internet ci ha dato la possibilità di essere ovunque e di padroneggiare il dono dell’onniscenza. Il libro che, meglio di ogni altro in lingua italiana, esprime e sottolinea quanto la promessa di questo futuro proveniente dal passato sia stata onorata è senza dubbio Mutare o Perire, di Riccardo Campa.

«Questo libro non ha paura di richiamarci apertamente all’esortazione nietzschana a “divenire ciò che siamo”, e si colloca in quello spazio prometeico, futurista ed apertamente postumanista della cultura europea» (p. 3).

La bella introduzione di Stefano Vaj non lascia dubbi sull’indirizzo ideologico di Campa, ed in qualche modo, di tutti gli uomini che credono che ogni promessa proveniente dal futuro, è un debito da riscuotere. Un debito che Herbert George Wells sapeva che prima o poi sarebbe stato saldato. Wells si spinse più avanti di qualsiasi altro pensatore utopista prima di lui, proponendo una visione in cui lo stato delle cose fosse non solo auspicabile, ma anche perfettamente realizzabile. L’utopia di Wells è un’utopia evolutiva, incentrata sull’idea di eterno divenire. Queste solo le

parole con cui l’autore sceglie di introdurre il suo libro:

L’Utopia di un moderno sognatore non può che avere esigenze che differiscono in un aspetto fondamentale rispetto alle Nowheres e alle Utopie pianificate prima che il pensiero di Darwin accelerò il mondo. Ognuna di queste vecchie utopie erano descritte come degli stati statici, perfetti in un equilibro che ha sconfitto per sempre ogni disordine e disequilibrio. In ognuna di queste mostrano una generazione sana e semplice, gioire dei frutti della terrà in un clima di virtù e felicità, in attesa di essere seguita da altre virtuose e felici generazioni, del tutto simili alle precedenti, in attesa che gli Dei si stancheranno di tutto ciò. Cambiamento e sviluppo sono state arginate per sempre dietro delle dighe inviolabili. Ma la Moderna Utopia non può essere statica, ma cinetica, deve essere plasmata non come una condizione permanente, ma come uno stato di speranza a cui succederanno una lunga, infinita, serie di stadi ascendenti. […] Questa è la prima, generale, differenza tra una Utopia basata su una concezione moderna e tutte le altre utopie descritte in passato. (p. 8) 

La radicalità di Wells non si lascia tradire dall’ingenuità: la sua utopia è energicamente aggrappata alla realtà che egli viveva, e da essa trae spunto. Nella città dell’avvenire intravista da Wells dominano il vetro e l’acciaio, così come ogni altra infrastruttura del tempo. La città intera è climatizzata e protetta da cupole, di una bellezza e di un’armonia che ricorda l’architettura di Eiffel e di Viollet-le-Duc. Il gotico conosce una seconda vita grazie alle possibilità offerte dall’acciaio, liberando l’architetto dalla discutibile abitudine di imitare templi greci e chiese fiorentine, dal misfatto di copiare Leonardo o Michelangelo. Proprio loro, «Come avrebbero esultato a modellare liberamente l’acciaio! Non ci sono documenti più patetici dei memorandum di Leonardo. Lo si vede continuamente tendere le mani verso le possibilità che si schiuderanno solamente al moderno ingegnere. […] Se fossero vissuti al nostro tempo, questi uomini avrebbero voluto costruire viadotti, collegare tra loro luoghi inaccessibili, diramare immense strade ferrate nelle viscere delle più grandi montagne del mondo. […] Gli edifici delle città utopistiche, sono la realizzazione di questi sogni» (p. 156).

Step 2 

L’immagine del futuro 

Un secolo divide questi due pensatori, Campa e Wells. Eppure, lo spirito che dà voce ai loro pensieri sembra essere lo stesso. Uno spirito che ha animato un dibattito che si protrae lungo l’intera modernità, e che è figlia della riconquistata fiducia dell’uomo verso le proprie capacità. Un tale spirito prometeico non poteva che stimolare un complesso immaginario visivo, tanto più che proprio la modernità ha portato con sé una rinata possibilità di produrre e distribuire immagini. Si potrebbe parlare a lungo sugli illustratori che hanno creato l’immagine del futuro. Un immagine a cui siamo talmente assuefatti da non riuscire a vedere altro futuro se non appartenente ad alcune rimostranze grafiche. Albert Robida influenzò pesantemente Sant’Elia e Garnier, così come, più recentemente, la cinematografia ha influenzato, e sta ancora influenzando, la resa grafica di

qualsiasi studio architettonico che voglia paventare una patina futuribile ai propri render. In tal senso, uno dei libri che più colpiscono per capacità di proiettarsi in maniera più convincente in quelli che sarebbe dovuto essere l’immagine del futuro è senz’altro The Usborne Book of the Future, una carrellata di immagini e situazioni utilizzate a scopo didattico per educare i bambini americani al mondo che l’impegno della scienza e delle arti gli permetterà di vedere. Il fatto che la Usborne si sia presa il disturbo di editare un libro del genere è significativo: l’idea di poter educare i giovani all’abitudine di un mondo che dovrà cambiare rapidamente sotto i loro occhi era così potente da spingere la casa editrice a produrre un mirabile testo di illustrazioni, dove l’evoluzione di ogni attività umana viene mostrata come ci trovassimo di fronte a un prodotto di consumo, o un giocattolo, nemmeno poi così nuovo. Questo è un aspetto significativo, perché gran parte del fascino di queste immagini derivano dalla loro attualità e dal fatto che queste provengono da un futuro così prossimo da essere già quasi passato. D’altra parte è una sensazione che molti bambini italiani nati dagli anni ’60 in poi, almeno quelli che hanno avuto la disavventura di seguire serie animati giapponesi. Per quanto l’argomento possa sembrare effimero, sottovalutare l’influenza che questo tipo di prodotti possano aver avuto sui quei giovani credo che sia un gravissimo errore. Quei bambini ora sono degli uomini, ed alcuni di essi stanno progettando il mondo che ci circonda. Ancora una volta, un antico futuro riemerge sotto le spoglie di interfacce, di oggetti e di edifici che non celano questa eredità. Questa è una delle tesi sostenute dal curioso libro di Fabio Bartoli, Mangascienza. Un testo che non solo che consiglio non solo all’appassionato, ma anche allo studioso ed a chi si è sempre interessato al tema della rappresentazione architettonica.

Step 3 

La storia del futuro 

Eppure, se è vero che l’uomo ha una sempre maggior affezione verso il futuro, un bisogno sempre maggiore di conoscere ciò che verrà, perché ci dimostriamo nostalgici verso le manifestazioni del futuro che vengono dal passato? Perché, nonostante siamo in grado per la prima volta di superare quel futuro sognato dai nostri padri, è oggi diffusa la tentazione di rivolgere ancora i nostri sguardi alle visioni del passato? Perché, oggi che viviamo in quel futuro, abbiamo perso la spinta per proiettarci ancora più avanti? Oppure, ribaltando la domanda, non è forse arrivato il tempo di seppellire quelle visioni per concentrarci su quanto si sta producendo oggi? Il sentire diffuso è che si sia perso qualcosa, si sia persa quella forza di spingersi ancora più in là, senza paura di apparire poco scientifici, buffi o goffi. O forse, è il nostro tempo che non ci permette di scrollarci di dosso il presente: negli ultimi dieci anni si sono affastellati fatti a centinaia. Fatti che sono già ora storicizzati e catalogati. Forse la nostra vicinanza, l’essere al centro del ciclone, forse l’ossessiva concentrazione sul presente, rende impossibile definire bene i contorni di qualsiasi fenomeno possa accadere, o essere pianificato, nel prossimo decennio. O forse, infine, stiamo semplicemente vivendo un periodo di accumulazione. Come tanti altri nel passato. La storia dell’immaginario tecnologico in qualche modo è parallela alla storia dell’architettura moderna. Mettere a confronto due libri come Storia illustrata della fantascienza, di James Gunn, e Storia dell’architettura e dell’urbanistica moderne, di Michel Ragon, lo dimostrano. Ponendo entrambi enfasi sull’importanza della rivoluzione industriale nello sviluppo di queste due storie del futuro, i testi sottolineano come «ciò che abbiamo visto […] è che la ricerca genera la ricerca, grazie ad improvvisi passi da gigante, l’urbanistica e l’architettura avanzano a piccoli passi» (Michel Ragon, vol. III, p. 248). La dimostrazione di ciò, è contenuta in questi stessi due libri sul futuro, oramai troppo vecchi per essere ristampati.

ENGLISH VERSION_________________________________________________________________

Step 1 

Promise of the future 

It seems that the memories of the future, over the entire modernity, have passed a sort of critical threshold, a point of no return: it is clear that we are nostalgic for a broken promise. To tell the truth the future that was shown to us arrived on time: we travel on vehicles that exceed all human possibility, the length of our lives is more than doubled, humanity has a permanent embassy in orbit in space, and others are about to be launched. In a sense, the human race has passed it’s imagination. And now it is going to exceed even it’s own species. Genetic engineering makes us stronger, allowing us to live longer lives. Artificial prosthesis allow us not only to make up for a deficiency, but to exceed our performance. Internet has given us the ability to be everywhere and to master the gift of omniscience.  The book that best expresses and underlines the promise of the future from the past has been honored undoubtedly in Mutare o Perire, by Riccardo Campa. «This book is not afraid to openly recall Nietzches’s exhortation “to become what we are” and fits itself into a Promethean space, a futuristic and openly posthumanist space of European culture» (p. 3). The beautiful introduction by Stefano Vaj leaves no doubt of Campa’s ideological address, and somehow, of all men who believe that every promise from the future, is a debt to be collected. 

A debt that Herbert George Wells knew that sooner or later would have been paid. Wells went further than any other utopian thinker, offering a vision in which the state of affairs is not only desirable, but also perfectly feasible. Wells’s utopia is an evolutionary utopia, focused on the idea of eternal becoming. These are the words with which the author chooses to introduce his book: 

The Utopia of a modern dreamer must have the need to differ in one fundamental aspect in respect to the Nowheres and the man planned Utopias that existed before Darwin’s new thought gave the world a boost. Each of these old utopias were described as static states, in perfect balance, that had defeated any kind of disorder and insanity forever. Each one beholds a healthy and simple generation that takes joy in the fruits of the earth in an atmosphere of virtue and happiness, to be followed by other virtuous, happy, and entirely similar generations, until the Gods locked behind weary. Change and development were dammed back by invincible dams forever. But 

Modern Utopia can not be static but kinetic, it must be shaped not as a permanent condition but as a hopeful stage, leading to a long ascent of stages. […]That is the first, most generalised difference between a Utopia based upon modern conceptions and all the Utopias that were written in former times. (p. 8) 

The radicality of Wells isn’t cheated by ingenuity: his utopia is energetically clinging to the fact that he lived, and is inspired from this. In the city of the future glimpsed by Wells, glass and steel dominate, as well as any other infrastructure of the time. The whole city is air conditioned and protected by domes, a beauty and harmony that recalls the architecture of Eiffel and Viollet-le–Duc. The Gothic knows a second life thanks to the possibilities offered by steel, freeing the architect from the questionable habit of imitating Greek temples and churches in Florence, from the crime to copy Leonardo or Michelangelo. And they, «There have been a few forerunners and that is all. Leonardo, Michaelangelo; how they would have exulted in the liberties of steel! There are no more pathetic documents in the archives of art than Leonardo’s memoranda. In these, one sees him again and again reaching out as it were, with empty desirous hands, towards the unborn possibilities of the engineer. […]In our times these men would have wanted to make viaducts, to bridge wild and inaccessible places, to cut and straddle great railways athwart the mountain masses of the world. […]These Utopian town buildings will be the realisation of such dreams»  (p. 156). 

Step 2 

Image of the future 

A century separates these two thinkers, Campa and Wells. Yet, the spirit that gives voice to their thoughts seems to be the same. A spirit that has animated a debate that has continued throughout modernity, and is the fruit of mans regained confidence in his skills. 

Such a Promethean spirit that could not but stimulate a complex visual imagery, especially as its modernity has brought with it a renewed ability to produce and distribute images. You could speak at length on the illustrators who created the image of the future. An image in which we are so used to not being able to see the future if it does not belong to some kind of graphic representation. Albert Robida heavily influenced Sant’Elia and Garnier, in the same way as film making has recently influenced and is still influencing the graphic performance of any architecture firm that wants to make it look futuristic for it’s own interpretation. In this sense, one of the books that has the most striking capacity to project more convincingly in what was supposed to be the image of the future is The Usborne Book of the Future, a series of images and situations used for educational purposes to educate American children that the world’s commitment to science and the arts allows him to see. The fact that the Usborne has edited a book like this is significant: the idea of educating young people to the custom of a world that will have to change quickly before their eyes was so powerful to push the publishing house to produce an admirable illustrated text, where the evolution of all human activity is shown as if we were faced with a consumer product, or a toy, that isn’t even that new. This is a significant issue, because most of the charm of these images derived from their relevance and the fact that they come from a future so near that it is already almost gone. 

On the other hand it’s a feeling that many Italian children born from the ‘60s on know, at least those who have had the misfortune to follow Japanese animated series. Although the topic may seem ephemeral, to underestimate the influence that these products may have had on those young people is a serious mistake. Those children are now men, and some of them are designing the world around us. Once again, an old future emerges in the guise of interfaces, objects and buildings that do not conceal this legacy. This is one of the arguments put forward by Fabio Bartoli’s weird book, Mangascienza. Not only do I recommend this book to that I recommend not only the enthusiast, but also to the student who has always been interested in the subject of architectural representation.

Step 3 

History of the Future 

if it is true that man has a growing affection for the future, an increasing need to know what will come, why are we so nostalgic to the events of the future that come from the past? Why, although we can for the first time exceed that future dreamed by our fathers, is there today now a widespread temptation to turn our eyes again to the visions of the past? Why, now that we live in that future, have we lost the urge to project ourselves a step further? Or, reversing the question, iisn’t it time to bury those visions to focus on what is being produced today? 

It almost seems that you are missing something, that we have lost the strength to go even further, without fear of appearing unscientific, clumsy or awkward. Or maybe, it’s our time that does not allow us to shake off the present: in the last ten years hundreds of facts have been bundled. Facts that are already purged and cataloged. Maybe our proximity, being at the center of the storm, perhaps the obsessive concentration on the present, makes it impossible to clearly define the boundaries of any phenomenon to happen, or to be planned in the next decade. Or maybe, finally, we are simply experiencing a period of accumulation. Like so many others in the past. 

The history of technological imaginary is in some way parallel to the history of modern architecture. The comparison of two books, the “Illustrated History of Science Fiction”, by James Gunn, and “histoire de l’architecture et de l’urbanisme modernes”, by Michel Ragon, prove it. Both placing emphasis on the importance of the industrial revolution in the development of these two stories of the future, the texts point out that “what we have seen [...] is that research generates research, thanks to sudden leaps and bounds, urban planning and ‘architecture continue to slowly advance “(Michel Ragon, vol. III, p. 248). The proof of this is contained in those two books about the future, now too old to be reprinted. 

 

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Time: 23 ottobre 2012
Category: Article
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Tags: Albert Robida , city vision , city vision mag , Emmanuele Jonathan Pilia , Michelangelo , PAPER BASTARDS , Riccardo Campa

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