Fabbricare Fiducia_Architettura #96 | Verso l’etica del possibile | Gianni Geraci

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Come immagini il mondo dell’architettura dopo l’attuale crisi virale?

 

Immaginare l’architettura dopo questo periodo di grave crisi sanitaria non fa altro che alimentare, ancora di più, il dubbio che noi architetti coltiviamo sul futuro della nostra disciplina e del nostro mestiere. Proiettarsi in avanti, incedere nella storia attraverso l’unico strumento che possiamo utilizzare, quello del progetto, è oggi una pratica molto rischiosa ma, allo stesso tempo, affascinante e ricca di stimoli fecondi. È come volere determinare e controllare le coordinate di un tempo che scivola inesorabilmente lungo il pendio inclinato e rischioso che capitali, interessi e tecnologia, rendono ancora più scosceso e non ci permettono più di corteggiare la lentezza, l’otium e la pausa necessaria per riflettere sul nostro fare nel mondo.
L’architettura oggi è imbrigliata inesorabilmente nella rete delle forme accattivanti, nella ricerca dell’originalità a tutti i costi, nella conquista effimera del “colpo a effetto” e nella spettacolarizzazione del risultato. Tutti termini di una condizione che ha svuotato di contenuto e di senso il valore primordiale della “soglia”, archetipo indispensabile per garantire all’uomo il senso del suo abitare sulla terra in un continuo rapporto intimo con la natura che lo accoglie. E’ l’architettura del marchio, dell’immagine superficiale che si serve degli strumenti tecnologici più avanzati per auto rappresentarsi e proporci una dottrina positivista rivolta verso un futuro prossimo, luogo che accoglie un modello di felicità irraggiungibile e inconsistente.
Purtroppo la nostra visione è miope, non ci permette di gettare uno sguardo sinottico verso la sterilità di questa condizione che appartiene a una “maggioranza” dominante. Spesso ne siamo complici consapevoli, anzi, guidati dal nostro ego smisurato, ci poniamo alla guida di un tandem, credendo di solcare e cavalcare il tempo della gloria e del successo mediatico.
A tutto questo possiamo opporci solo attraverso l’ottimismo sano che un architetto deve inevitabilmente possedere e corroborare, a partire da una consapevolezza inevitabile: nel secolo appena trascorso e nel tempo che stiamo vivendo, tutto è stato costruito, tutto è stato esplorato, tutto è stato consumato e tutto è stato abbandonato. Non ci resta che ritornare a re-inventare, cioè, a ri-trovare ciò che esiste e dargli un nuovo senso.
L’unica certezza è offerta dalla storia e dal presente che oggi suggeriscono un cambio di direzione del nostro percorso. L’ambiente naturale e naturalizzato, lo spazio costruito e il contesto rappresentano il territorio da esplorare attraverso la protezione, il risanamento, la conservazione (intesa non come vacuo collezionismo) e la trasformazione dei nostri luoghi.
Oggi la capacità di prefigurare il futuro è ampiamente compromessa dalla grave crisi ambientale, ecologica e climatica della nostra Terra e dalle risorse limitate che essa è stata in grado di fornirci fino al nostro tempo. La questione è molto seria perché il nostro prassein, ovvero il nostro fare, sarà decisivo per le condizioni di esistenza e sopravvivenza della specie alla quale apparteniamo. Tutto si gioca sulla ridefinizione dei rapporti tra gli uomini e tra gli uomini e la natura. Urge, dunque, sentire la gravità di rideterminare la nostra posizione rispetto a un pensiero dominante, arrogante ma molto debole.
Credo che le crisi non si presentino mai a caso, anzi, spesso costituiscono il grado zero per ricominciare un viaggio fondato su presupposti differenti. Tra questi ultimi, sicuramente, va annoverato il recupero etico del patrimonio costruito che ci permetterà sia di capitalizzare e rimettere a registro risorse umane, economiche e finanziarie che altrimenti andrebbero perdute per sempre, sia di non consumare ulteriormente suolo, ormai ridotto ai minimi termini. Certamente, non è possibile conservare tutto, poiché il rischio che potremmo correre è duplice: incappare nell’inutile accumulazione di oggetti e nell’imperdonabile mancanza di rilettura critica del presente storico, che non permetterebbe a noi di lasciare il segno del nostro tempo. Il tema della scelta su ciò che dobbiamo lasciare e ciò che è necessario modificare o sostituire, disegna un confine labile e rischioso che vale la pena percorrere perché è il fascino e il vero senso del nostro mestiere.
Per riportare il ragionamento nei luoghi dove operiamo e viviamo, per quanto mi riguarda, in una delle parti del “Sud del mondo”, precisamente, nella Sicilia interna, le scarse disponibilità di risorse finanziarie ed economiche potrebbero fare credere che non esista la condicio sine qua non per investire sull’architettura. Tuttavia, è interessante potere immaginare di ribaltare tale condizione come un’opportunità del possibile. La povertà degli strumenti ci permette di allontanarci dalla facile seduzione propagandata dalle nuovissime tecnologie, applicate ai materiali e alle metodologie costruttive, che può condizionare le nostre scelte da progettisti. Acquisendo sapere e coltivando curiosità sull’esistente, abbiamo l’occasione di ri-fondare consapevolmente l’architettura nella storia dei luoghi, rileggendo la tradizione costruttiva e iniziando dai materiali che il contesto ci fornisce a costo zero: la luce e il paesaggio. Questo non vuol dire trincerarsi dietro un atteggiamento reazionario nei confronti delle nuove tecniche e tecnologie; al contrario, lavorare sull’equilibrio tra esse e la tradizione può rappresentare la nuova traiettoria da perseguire affinché, in qualsiasi parte o regione del mondo, si possa avere l’opportunità di immaginare bellezza nello spessore di un futuro sostenibile.

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Gianni Geraci. (San Cataldo 1975) architetto, si laurea nel 2003 presso L’Università degli studi di Palermo con una tesi di progettazione architettonica e urbana “Una chiesa a Cefalù”, relatori Prof. Arch. Marcello Panzarella e Prof. Arch. Giovanni Francesco Tuzzolino.
Nel 2004 inizia la collaborazione con l’Architetto Alfonso Cardinale e dal 2007 fonda, con lo stesso, lo studio di progettazione cgstudio_cardinalegeraciarchitetti, svolgendo una intensa attività progettuale e di ricerca, realizzando edifici privati (case unifamiliari, edifici residenziali, negozi di abbigliamento, spazi commerciali ed espositivi), edifici pubblici (scuole, biblioteche, centri culturali) e partecipando a diversi concorsi di progettazione. Docente di Storia dell’Arte presso Liceo Classico di Niscemi (CL). Cultore di Progettazione Architettonica e Urbana presso la facoltà di Architettura l’Università degli studi di Palermo, nei corsi e laboratori diretti dal Prof. Arch. Giovanni Francesco Tuzzolino, svolge attività di assistenza alla didattica e ricerca. Tutor e coordinatore in seminari e mostre di architettura in Italia e all’estero, in particolare nel Medio Oriente, Giordania, Arabia Saudita ed Egitto, correlatore di tesi di laurea, si è occupato di residenze, spazi pubblici e di culto nell’ambito della ricerca “Architettura nelle città del mediterraneo”. Tra i suoi scritti: “Area attrezzata per l’ospitalità degli scouts” in “NaturaArchitettura, “Rifugio nel bosco, la porta del sentiero” in “Architettura per l’accoglienza” e “Interazioni al centro” in “Spazidicittàspazidinatura-ambientenaturaarchitettura”, pubblicazioni curate da Antonio Margagliotta e Giovanni Francesco Tuzzolino. Componente del Consiglio dell’Ordine degli Architetti, Paesaggisti, Pianificatori e Conservatori della provincia di Caltanissetta, coordina attività di formazione, pubblicazione,organizzazione di mostre e di promozione dell’Architettura. Con l’associazione “Attraversamenti officina” ha organizzato le giornate di studio su “Visioni di architettura”, “Architettura e pubblicità” e di “Geoarchitettura”. Componente Commissione Università e Ricerca del Consiglio Nazionale degli Architetti.

 

 

 

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Title: Fabbricare Fiducia_Architettura #96 | Verso l’etica del possibile | Gianni Geraci

Time: 27 aprile 2020
Category: Article
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