Fabbricare Fiducia_Architettura #34 | Un vecchio approccio | Eleonora Alviti
Come immagini il mondo dell’architettura dopo l’attuale crisi virale?
Nel libro La Ville Radieuse, scritto all’inizio degli anni ’30, Le Corbusier pone l’accento su tre principali elementi che lui definisce le gioie essenziali: il sole, lo spazio e il verde.
Siamo nel 2020 e in alcune città del nostro pianeta la luce del sole non riesce a filtrare a causa dell’inquinamento atmosferico, negli ultimi trenta anni sono andati perduti circa 120 milioni di ettari di foreste e ci siamo autoconvinti che l’essere umano possa vivere comodamente in capsule di 5 mq. L’uomo, non è mai stato così distante dal futuro brillante, florido e utopico, che spesso, in passato, si era immaginato.
A rendere più complicato questo periodo storico è ora una pandemia che non sta facendo sconti, l’ennesima conferma che la modernità in cui viviamo è satura di problemi.
La caratteristica principale di questo avvenimento, la pandemia appunto, è che ci sta obbligando a stare chiusi nelle nostre case, costringendoci a fare i conti con il nostro spazio e le nostre riflessioni.
Il virus ha costretto l’homo movens di Kisho Kurokawa a stare fermo e, forse, proprio questa immobilità ci sta permettendo di allontanarci dal presente dandoci la possibilità di comprendere cosa il nostro tempo ha prodotto.
L’aspirazione dell’uomo architetto è sempre stata quella di migliorare il suo modo di vivere e lo spazio che abita, migliorare gli spazi pubblici per modificare la condizione collettiva e, attraverso essa, migliorare quella individuale.
Sarebbe bello poter, quindi, fare una passeggiata per le strade delle città ora prive di persone e mezzi di trasporto e, senza alcuna distrazione, vedere cosa l’architettura e l’urbanistica abbiano fatto fino ad ora, vedere come la materia da noi progettata e poi costruita si sia appropriata del suo spazio. Immaginiamo di passeggiare tra le periferie delle nostre città, difficilmente troveremo della poetica in questi luoghi. Lo stupore provato camminando lungo le vie dei centri storici si trasformerà, forse, in silenzio e in flussi di pensieri. Cosa è accaduto in questi anni?
Siamo, oggi, attenti agli strumenti, alle norme, alle tecniche di rappresentazione e alle nuove tecnologie dimenticando a volte che non è importante quanto si progetta ma cosa si progetta e per chi lo si fa.
Quando ci risveglieremo da questo lungo sonno guardiamo intorno a noi, percorriamo strade a caso, rallentiamo e pensiamo, perché, come la situazione che stiamo vivendo ci sta mostrando, non dobbiamo andare da nessuna parte e non abbiamo nessuna fretta.
Ora che abbiamo la possibilità di pensare e di vivere ad un ritmo più lento, quando riprenderemo la nostra vita “normale” non dimentichiamoci di questa armonia e facciamo in modo che la città si fidi di noi che siamo i suoi fabbricatori.
Fabbrichiamo architetture coscienti, architetture pensate, architetture condivise dal luogo e dalle persone, architetture che creino identità, architetture belle, architetture che meraviglino.
Eleonora Alviti dopo una laurea triennale in Architettura all’Università “La Sapienza”, consegue la laurea magistrale in Architettura presso il Politecnico di Torino con una tesi avete come tema il rapporto tra l’architettura e i Mega Eventi presentando una possibile riattivazione per l’incompiuta Vela di Calatrava a Roma. Ha frequentato, vincendo una borsa di studio, il Corso di Alta Formazione Architecture for Heritage presso la YACacademy e ha da poco concluso un internship nello studio portoghese Aires Mateus Arquitectos a Lisbona. La sua ricerca si concentra principalmente sulla riattivazione dei luoghi e la costruzione, in essi, di nuove atmosfere sperimentando così possibili sviluppi per la città di oggi.
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Title: Fabbricare Fiducia_Architettura #34 | Un vecchio approccio | Eleonora Alviti
Time: 14 aprile 2020
Category: Article
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