Fabbricare Fiducia_Architettura #120 | Per un’architettura della fragilità | Carmen Decembrino
Come immagini il mondo dell’architettura dopo l’attuale crisi virale?
In un momento in cui la fragilità ci sta mostrando quanto sia più forte della forza stessa, forse bisognerebbe ripensare a delle architetture altre, partendo probabilmente da nuove geografie emozionali.
Le immagini dalla quarantena che popolano il mio immaginario in questi giorni, sono quelle che si legano indissolubilmente alla mutata declinazione dei nuovi paradigmi e dei metodi di approccio alla disciplina stessa, legati al rinnovato desiderio di riflettere, da parte di tutti, sul significato di “abitare”, e quindi, sul vivere un luogo e/o uno spazio. Ciò nasce in qualche modo dalla percezione di una nuova dimensione del vissuto, che ci ha accompagnato durante il lockdown, trama metaforicamente spaziale dell’insieme dei luoghi in cui si fa esperienza, come suggerisce Giuliana Bruno, e in cui si costruiscono i ricordi, le relazioni e la vita stessa.
In realtà, i piani di indagine si sovrappongono continuamente. Uno appare squisitamente immateriale, e si lega al viaggio dell’esistenza umana, dove ora più che mai occorre percorrere strade con una rinnovata attenzione al cambiamento come opportunità, che non si dimentichino di abitare quel paese della tenerezza, e dunque dell’intimità, mappato nella Carte du Pays de Tendre in ‘Clélie’ di Madeleine de Scudéry del 1654. Ricordandosi che il “Lago dell’Indifferenza”, spazio introverso e ameno, potrebbe frapporsi come ostacolo metaforico, nella modalità in cui non accogliessimo la sfida che ci si sta parando dinanzi, non cogliendo lo spirito del tempo.
L’altro è prefigurabile, invece, nella sua materialità attraverso il tema della soglia come suggerito da Walter Benjamin: “La soglia deve essere distinta dal confine. La soglia non è un luogo. Nella parola soglia sono compresi: mutamento, paesaggi, maree…”.
Il raccogliersi domestico, recuperando il piano della percezione del limite tra interno e esterno, non come confine o linea netta di demarcazione, ma come rappresentazione della possibile costruzione di nuovi scenari che viaggino tra l’ibridazione di infinite opportunità, appare visivamente immaginabile come in “Two Figures at the Windows” di Francis Bacon. Lo smart working ci ha messo, infatti, di fronte all’urgenza di ripensare nuove modalità dell’abitare attraverso una progettazione dello spazio domestico che risponda sempre più ai criteri dell’adattabilità e della flessibilità. Rivendicando il diritto alla disconnessione, lo spazio domestico non viene spesso più vissuto come rifugio, ma appare ormai invaso dalla dimensione pubblica del nostro lavoro. La possibilità di potersi isolare all’interno dello spazio abitativo, utilizzando declinazioni differenti oltre alla modalità dello studio interno all’abitazione, appare fondamentale attraverso la riconfigurabilità di uno spazio concepito in maniera fortemente adattiva sia in termini temporali che in termini spaziali, considerando anche il cambiamento dell’utenza e delle sue esigenze nel tempo.
Lo sconfinamento del limite, che ha per tramite la sua smaterializzazione, nel rapporto tra gli edifici e lo spazio pubblico, inoltre, prefigura un dialogo continuo tra l’interno e l’esterno, ripensando il concetto di distanza a scala architettonica e urbana attraverso le modalità di interazione tra gli utenti.
Una progettazione della tenerezza, dunque, dove il distanziamento sociale e la sua prossemica, ci spingano ad essere quei registi capaci di navigare con destrezza tra le matrici umane e spaziali dell’adattabilità e della flessibilità, atte a nobilitare la quotidianità senza meri sensazionalismi fini a se stessi, resistendo alle sfide poste in essere dal tempo e divenendone simbolo adattivo dello stesso.
Un’architettura della fragilità, dunque, dove le atmosfere regalate dal tempo sospeso di questi giorni, ci invitino ad essere quei direttori della fotografia capaci di costruire concrete istantanee legate all’intimità dello spazio privato in continua ibridazione con la ricerca di pubbliche intimità che abbiano sempre come monito comune la memoria e il vissuto personale in rapporto a quello collettivo attraverso le delicate trame esistenziali.
Carmen Decembrino è un architetto e visual designer che utilizza la fotografia e il linguaggio video come strumento costante di indagine progettuale. Interessata all’interazione sinestetica tra il suono e le immagini statiche e/o in movimento, la sua ricerca investiga la capacità di creare atmosfere, spazi e architetture attraverso l’utilizzo interdisciplinare di diversi codici espressivi con il focus primario sull’utente finale. Collabora alla cattedra di Progettazione Architettonica della Prof.ssa Paola Misino dal 2008 al 2014 presso la Facoltà di Architettura di Pescara. Ha esposto alla Biennale di Architettura di Venezia nel 2010 e nel 2012. Ha al suo attivo pubblicazioni, mostre nazionali ed internazionali, ed è stata selezionata per diversi festival e rassegne di fotografia contemporanea. Vive a Milano. Lavora tra l’Italia e l’estero.
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Title: Fabbricare Fiducia_Architettura #120 | Per un’architettura della fragilità | Carmen Decembrino
Time: 11 maggio 2020
Category: Article
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