Fabbricare Fiducia_Architettura #117 | Uno spettro s’aggira per il mondo e non è un virus | Vincenzo Tenore
Come immagini il mondo dell’architettura dopo l’attuale crisi virale?
Questo spettro non andrà via di certo con gli allentamenti che i governi vorranno concedere alle nostre libertà e non è con un vaccino che ce ne libereremo. Questo spettro pare connaturato all’uomo ed è più insidioso del virus, altre volte si è manifestato nella nostra breve storia di specie ma non si è mai palesato in un’epoca così mediaticamente connessa, istantaneamente reattiva, così concatenata, liquida come quella che lo vede agire oggi.
Lo spettro che si aggira per il mondo è quello della supposta supremazia dell’uomo sulla natura, del forte sul debole, di Caino su Abele, della bulimica fame di potere, di affermazione che la nostra specie pericolosamente continua a manifestare.
A cambiare dovrà essere l’intero sistema politico-economico e per farlo ci vorrà tempo se non altro sangue. La pandemia è solo l’ultima delle manifestazioni di questo modello socio economico di espansione dei nostri “bisogni” a scapito delle sempre più esigue risorse. Una Rivoluzione, servirebbe, è necessaria, ce la auguriamo tutti, la desideriamo, la invochiamo, ma non arriverà da sola ed è meglio che non si generi dalla esasperazione e dall’odio di una parte verso un’altra.
Allora cominciamo dai fondamentali: proviamo a scrivere un Manifesto, usiamo la rete per organizzare la più grande Costituente mai pensata per la scrittura di una Carta: costruiamo la Carta delle Carte, fondiamo assieme tutte le migliori Carte costituzionali e dei diritti esistenti e sovrascriviamo i principi che possano regolare il vivere nel nostro tempo: scriviamo la Carta dei diritti del Pianeta. Proviamo a immaginare le regole di questa scrittura condivisa, come fosse una Wiki-Carta. Abbiamo la possibilità, localmente, di aprire link, cluster, che contengano esigenze e soluzioni, che contengono gli stessi attori locali che assieme trovano soluzioni per soddisfare i propri bisogni, utilizzando però una griglia operativa globale condivisa. Le parole che questa Costituente dovrà provare a sradicare dai comportamenti dell’uomo saranno molte: concentrazione, pressione, sfruttamento, proprietà esclusiva, disuguaglianza, etc a cui contrapporre per cura altre parole: sostenibilità, resilienza, perequazione, diradamento, uguaglianza, redistribuzione, accessibilità. Un momento storico così importante, che ha visto coinvolto l’intero Pianeta nella stessa battaglia richiede una risposta globale.
Da ieri siamo alle prese con la vita a contatto con l’immanenza di un pericolo, il contagio: possiamo immaginare, idealizzare, disegnare nuove relazioni, soddisfare altri bisogni, costruire dispositivi, aggiustare quello che si è rotto, fornire soluzioni a richieste urgenti. Ma chi si occuperà veramente della questione, chi potrà disegnare un assetto diverso da quello attuale? Quale strategia possiamo mettere in gioco per prepararci alle prossime “interferenze” che la Natura insinuerà nel nostro sistema di vita “autoreferenziato”?
Nel paese in cui vivo, popolato da circa 1500 abitanti, prevalentemente anziani, molte case vuote e una densità di circa 1 abitante per 4 ettari di terreno, la chiusura imposta dal lockdown ha interessato poche attività commerciali, la maggior parte delle quali sono essenziali. Nessun caso Covid registrato fino ad ora.
Più che pensare a dimensionare lo spazio d’uso di un ombrellone o le postazioni in classe dei bambini o le platee di teatri e cinema o il dehor di un bar – soluzioni transitorie che pure servono ma saranno dismesse dalla vaccinazione di massa a cui saremo, di qui a qualche mese, sottoposti - è forse il caso di occuparsi di azioni a lungo termine, che ci trovino preparati per le prossime calamità.
Quindi forse quelle classi non vanno meglio compartimentate ma addirittura dislocate; oltre che lavorare a portare pezzi di città in casa: parti di una scuola, di un giardino, di un orto, di un supermercato, di un ufficio, di una palestra (cosa che oltretutto può permettersi solo una ristretta sezione sociale alle attuali condizioni), forse dovremmo pensare anche di spostare parti di città in Appennino e ovviamente parti di Appennino in città. Se le università, gli ospedali, gli istituti di ricerca, i laboratori, la produzione ad alta componente tecnologica, se la fibra, le autostrade, l’alta velocità, ma anche solo la ferrovia ordinaria, provassero a salire in Appennino, se ogni comprensorio di paesi, quelli più lontani dalla costa (che in Italia significa stare a 150 km circa dal mare), avesse nuclei di eccellenza della produzione, della formazione, dell’istruzione, se avessimo eccellenza dei servizi sanitari, della mobilità, probabilmente non avremmo necessità di emigrare, i ragazzi, le intere famiglie che si sono spostate in città, ritornerebbero ai loro averi, ad vivere le loro case. Rivaluteremmo un capitale immobiliare enorme. La prima ondata di esodo che ha allarmato i governatori delle regioni del sud ha messo in evidenza le cifre del controesodo che si potrebbe attivare.
L’architetto adesso più che mai deve occuparsi di disegnare processi più che progetti, provare a cucire nuovi abiti agli abitanti di questo Pianeta, forse costruire nuovi abitanti, recuperare cioè il senso più profondo dell’abitare che non è fatto solo di metrica, standards ma di rapporti, evocazione, equilibrio, proiezione e introiezione, relazione. Dobbiamo tutti, non solo gli architetti, nel nostro piccolo cluster, immaginare la nostra Rivoluzione, scrivere il nostro Manifesto che vada a comporre il Manifesto di una Rivoluzione più grande, condivisa, globale.
Dobbiamo provare a gestire una forma di autarchia condivisa, in fondo il modello italiano era questo: una moltitudine di città (eccellenti) che stringono relazioni sul territorio e basano la propria forza sulle risorse territoriali, non chiudere i nuclei abitativi ma rafforzarli, aprirli ad uno scambio equo. La ridondanza, insita anche nel DNA della nostra Italia come nel nostro corpo, è la strategia migliore per affrontare scenari ad alto coefficiente di rischio con molte variabili di sistema, anche la NASA utilizza questo metodo per programmare le missioni più audaci: duplicare i servizi, diffondere la qualità, strutturare nuclei abitativi autonomi ma connessi alla rete nazionale/globale, moltiplicare i centri di cura, sapere, ricerca renderà tutti più forti, riequilibrerà le disuguaglianze, distribuirà le pressioni, diminuirà l’impronta ambientale.
Soluzioni mediane, compromesse o balbettate non ci condurranno al mondo desiderato: ricordiamo sempre l’antico monito: In medio stat virus.
Vincenzo Tenore. Architetto presso +tstudio, focalizza la sua ricerca sulla progettazione sostenibile con un approccio ai contesti teso a recupere i patrimoni dismessi, sia iconografici che di conoscenze, mettendo a sistema le competenze locali, lasciando interagire la tradizione con il contemporaneo. le sue opere sono pubblicate su Abitare, Domus, Repubblica, Artribune; sugli elenchi del DGAAP del MIBACT, selezionate da Mario Cucinella ed esposte alla Biennale di Architettura di Venezia. Ha progettato e realizzato tra l’altro: la Chiesa di Baku in Azerbaijan; la Stazione Metropolitana di Melito, il restauro del Coro del Real Convento delle Clarisse, la Casa della Cultura ad Aquilonia; ha partecipato al raggruppamento italiano per la progettazione delle Nuove Piscine a Lourdes in Francia. E’ docente di tecnologia dei materiali all’Istituto Superiore di Design, membro del direttivo INARCH Campania e direttore del Museo Etnografico di Aquilonia. Vive e lavora, per scelta, in Irpinia d’Oriente, ad Aquilonia.
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Title: Fabbricare Fiducia_Architettura #117 | Uno spettro s’aggira per il mondo e non è un virus | Vincenzo Tenore
Time: 6 maggio 2020
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